Socialize

R.BRUNETTA (Intervento su ‘Il Sole 24 Ore’): “Nuovo debito europeo per beni pubblici comuni: la strada per fare grande l’Europa”

 

Il Sole 24 Ore

 

LEGGI L’INTERVENTO

 

Ucraina, difesa comune, energia, sicurezza alimentare: sono di nuovo questi i punti all’ordine del giorno del Consiglio Europeo straordinario convocato a Bruxelles domani e martedì 30-31 maggio. Di fronte a queste quattro sfide epocali, i leader dei 27 dovranno dare adeguate risposte di policy, ma dovranno anche presto identificare appropriate coperture finanziarie. Questa è la quinta sfida che condiziona tutte le altre, forse la più complessa per un’Unione in cui, a differenza degli Usa, il sincronismo tra la politica monetaria autonoma della Banca Centrale e le politiche di bilancio degli Stati membri è stato, in genere, merce rara. Unica eccezione la pandemia, con il programma di acquisti di emergenza pandemica della Bce (Pepp), che ha creato i margini per garantire flessibilità nei bilanci degli Stati membri, cui si è poi aggiunta, data la portata della crisi, la creazione del debito europeo di Next Generation Eu.

Cosa fare in termini di policy è ormai abbastanza chiaro. In primis, l’urgenza di concordare il nuovo programma di assistenza macro-finanziaria e l’auspicata volontà di stabilire forme di coordinamento tra Stati membri in tema di ripristino degli equipaggiamenti militari, già impiegati per sostenere le forniture all’Ucraina. Il coordinamento sul tema degli arsenali militari dei Ventisette, uno dei seguiti del vertice informale di Versailles dello scorso marzo, si configurerà, quindi, come un primo concreto banco di prova per un più ambizioso progetto di difesa comune. Perché la sicurezza è un bene pubblico europeo e, come tale, necessita di uno strumento concertato e condiviso anche a livello finanziario (oltre che tecnologico, industriale, organizzativo e politico).

Non meno rilevanti, poi, sono gli altri temi che da qualche mese animano il dibattito nell’Ue. Con la guerra in Ucraina, oltre alla transizione energetica verso fonti più sostenibili, si è evidenziata la necessità di slegare il Vecchio Continente dalla dipendenza dai combustibili fossili russi. Da qui la proposta del RePowerEu, volta ad aumentare l’efficienza energetica, diversificare l’offerta di energia fossile con un approccio comune al mercato, e accelerare sulla transizione ambientale.

Il conflitto ha generato anche una crisi da carenza di cereali, come il grano, la cui resa del prossimo raccolto in Ucraina potrebbe diminuire del 35% rispetto al 2021. A questa mancata produzione si accoppia il blocco alle esportazioni causato dalla difficile situazione che si sta verificando nei porti nel Mar Nero.

Temi come la difesa europea, il RePowerEu e la sicurezza alimentare sono grandi sfide di policy drammaticamente emerse, in tutta la loro urgenza, con la crisi ucraina, ma già innestate nell’agenda politica della Commissione europea, centrata sulle transizioni digitale e ambientale, nella direzione dell’indipendenza strategica. Sono anche processi estremamente costosi da finanziare. Parliamo di una scala dell’ordine dei trilioni di euro, come annunciato dai leader europei a valle del vertice di Versailles. È fin troppo evidente che attingere dalle ordinarie fonti provenienti dai bilanci nazionali non sia affatto sufficiente. Occorre, quindi, indebitarsi. E, contrariamente al recente passato, bisogna farlo in un contesto in cui i tassi di interesse sono comunque destinati a salire, per far fronte alle pressioni inflazionistiche che lo stesso conflitto ucraino ha contribuito a esacerbare. Oggi più che mai, ed è forse questa la partita più difficile cui l’Unione è chiamata, risulta, dunque, fondamentale garantire un buon mix quali-quantitativo tra le azioni della Bce e la politica di bilancio, sia a livello nazionale sia comunitario.

Ma proprio su questa necessità di indebitarsi, l’Europa rischia di trovarsi nuovamente spaccata in due. Da un lato, c’è chi pensa che non si debba proseguire nel processo di creazione di ulteriore debito dell’Unione e, quindi, che non si debba istituire un secondo Next Generation Eu per finanziare l’hard power europeo, anche in considerazione dei già elevati livelli di debito pubblico raggiunti come eredità della pandemia. Altri, al contrario, ritengono che questi investimenti pubblici trasformativi abbiano una dimensione strategica, politica e finanziaria talmente elevata per l’Europa che gli Stati membri non possano e non debbano affrontarla da soli: se il problema è comune, anche la sua soluzione deve essere comune. Di più: nel caso del Ngeu 2, non si tratterebbe di realizzare, Stato per Stato, tassello per tassello, la convergenza verso gli obiettivi condivisi, modello Ngeu 1, ma di compiere un ulteriore salto verso la sovranità europea, in linea con le posizioni espresse da Draghi e Macron. Non 27 Pnrr, ma un piano unico, gestito e attuato dalla Commissione Ue come bene pubblico europeo, per ciascuno degli ambiti in cui è indispensabile raggiungere l’autonomia strategica.  Nulla di nuovo: lo abbiamo già fatto con l’approvvigionamento dei vaccini anti-Covid.

Tale spaccatura, peraltro, si sta materializzando anche nella Bce. Da un lato, una parte del board ritiene che il rialzo dei tassi di interesse debba essere graduale, e comunque guidato da un’attenta analisi della congiuntura, alla luce del fatto che l’inflazione europea, diversamente da quella americana, deriva in gran parte dai prezzi dell’energia e dei beni alimentari, non da un eccesso di domanda. Rispondere a questa inflazione con tassi inutilmente più elevati creerebbe solo un rischio recessivo, comprimendo la liquidità per famiglie e imprese. Dall’altro, vi è, invece, chi vede il rischio di una spirale inflazionistica fuori controllo in Europa e, dunque, la necessità di ancorare fermamente le aspettative inflazionistiche di medio periodo con una risoluta risposta di politica monetaria.

Vi è, pertanto, il rischio che l’Europa, paralizzata dai veti incrociati, rimanga indietro sia dal punto di vista tecnologico e ambientale, sia dal punto di vista del vantaggio competitivo e geo-strategico rispetto alle altre macro-regioni del mondo.

Come fare, dunque, a risolvere questo pericolo di impasse?

Partiamo dalla considerazione che la creazione di nuovo debito europeo ai mercati sembra non dispiacere affatto. Questo in ragione dell’estrema appetibilità degli strumenti di debito emessi dall’Ue, non solo perché è la principale emittente di obbligazioni green a livello globale, ma anche perché la raccolta combina l’uso di diversi strumenti e tecniche di finanziamento con una comunicazione aperta e trasparente ai partecipanti al mercato. Un approccio moderno, in linea con le best practice dei grandi emittenti globali, che consente alla Commissione europea di aumentare i volumi di titoli emessi in modo agevole ed efficiente. Una strategia che sta attirando investitori internazionali in Europa e rafforzando l’euro come valuta globale. Forse, unica pecca, andrebbe riservata maggiore attenzione ai principali negoziatori di questi titoli sul mercato secondario, al fine di garantire ulteriore liquidità a questo strumento e trasformarlo sempre più nel safe asset europeo. Tema tecnico, facilmente risolvibile, e che non ha impedito negli 11 sindacati di emissione organizzati da giugno 2021 a oggi di registrare una domanda che in media ha superato di circa 11 volte l’offerta. Basterebbe questo per far capire, anche agli amici rigoristi e “frugali” del Nord, restii all’emissione di nuovo debito comune, come il mercato degli eurobond sia oggi nettamente più appetibile ed efficiente rispetto a quello dei titoli di Stato nazionali.

Scaricare l’onere del finanziamento di queste nuove politiche agli Stati nazionali potrebbe comportare un’apertura degli spread, compromettendo il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, complicando il lavoro della Bce ed esacerbando le tensioni dentro il Board in un momento in cui il setup di politica monetaria è già abbastanza delicato.

La possibilità di trovare un accordo politico su questo nuovo approccio di politica fiscale europea dipende, tuttavia, in modo cruciale, dal mantenimento di impegni credibili verso obiettivi a lungo termine. Innanzitutto, occorrerà continuare a dimostrare che il primo programma di finanziamento comune, quello di Ngeu e degli attuali Pnrr, è ben implementato e sta generando crescita e inclusione, aggredendo le fragilità strutturali del Paese in un’ottica di convergenza europea.

Con obiettivi decisi a livello Ue, una governance europea e risorse assicurate dai mercati finanziari, viene allora da concludere che, purtroppo, a mancare ancora è la volontà da parte di alcuni Stati membri (le solite formiche del Nord) di puntare sul debito comune, preferendo, invece, rimanere prigionieri della loro visione della politica economica strettamente circoscritta ai confini nazionali, che non può certo contribuire a rendere l’Europa all’altezza delle sfide future.

Come diceva Henri Spaak, “alcuni Stati membri sono piccoli, altri ancora non lo sanno”. E la nuova Europa ha bisogno di grandezza e di visione: di Stati che siano tutti grandi.