Vai a far del bene”: avrà pensato Antonio Tajani, colpito dalla macchina del fango, che in questi giorni si è messa in moto. Lo accusano di aver portato l’Italia sul banco degli imputati per i ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione. Di non aver fermato una procedura – quella della Commissione europea – avviata da tempo. Come se questo rientrasse nelle prerogative di un vice-presidente, ormai in prorogatio. Quando fu in grado di esercitare pienamente il proprio ruolo, agli inizi di giugno, impedì che si procedesse contro l’Italia per il rinvio del pareggio di bilancio, deciso dal Governo Renzi. Come si ricorderà, fu cassato dal documento finale uno specifico paragrafo in cui si imputava al nostro Paese questa grave inadempienza. Se avesse seguito l’istinto di partito, a discapito della difesa dei grandi interessi nazionali, si sarebbe semplicemente astenuto.
Ma questo non conta. La memoria corta di Pier Carlo Padoan o di Sandro Gozi è solo una cortina fumogena per nascondere le proprie responsabilità in quel calvario che è il mancato pagamento dei debiti della PA. Imprese costrette a chiudere per l’ignavia di una burocrazia, che non vuole assumersi le proprie responsabilità. Che non certifica nemmeno le proprie obbligazioni, perché tanto “chi se ne frega!”. E di un governo centrale che non fa molto per pungolare gli inetti, controllare chi non fa il proprio dovere ed intervenire nel rispetto di una normativa, da tempo approvata dal Parlamento, ma praticamente rimasta lettera morta.
Di questo si dovrebbe parlare sui giornali e nei talk show, invece di gettare la croce su chi non ha potuto fare a meno che la pentola, alla fine, fosse scoperchiata. Del resto nei mesi passati gli avvertimenti non erano mancati. “Non rispettate gli impegni” era stato il messaggio ricorrente. Siete agli ultimi posti nell’adempiere ad un dovere elementare. In Italia, nel settore dei lavori pubblici, si paga in media dopo 210 giorni, in Bosnia dopo 41, in Serbia dopo 46; nella stessa Grecia dopo 155. Quanto poteva ancora reggere una simile situazione?
Se poi si pensa ai debiti pregressi, la situazione è ancor più paradossale. Già il governo Monti aveva promesso una drastica accelerazione, ottenendo dall’Europa il placet per far fronte a quegli impegni emettendo titoli di stato. Nel 2012 le previsioni erano pari a 90 miliardi di euro. A distanza di due anni, la stessa fonte – Banca d’Italia – parla ora di 75 miliardi: ne deriva che in 24 mesi il debito della PA è stato smaltito solo per poco più del 15 per cento.
Nel frattempo quante imprese sono state costrette a chiudere i battenti?
Quanta maggiore disoccupazione si deve a quei fallimenti? Andando di questo passo, ci vorranno almeno altri 10 anni per smaltire un arretrato che, nel frattempo tuttavia cresce per i ritardi che ogni giorno si accumulano nei nuovi pagamenti. Una spirale che definire infernale è puro eufemismo.
Ci saremmo, quindi, aspettati che a seguito della notifica di Bruxelles si discutesse seriamente di tutto questo. Ma farlo avrebbe dimostrato una delle tante vacuità di questo governo. Abbiamo per fortuna la memoria lunga. Soprattutto conservato le carte, o meglio, le slides. Quelle con il pesciolino rosso in cui Matteo Renzi si impegnava a pagare entro luglio 68 miliardi. Una bugia grande come una casa. Soprattutto una ancor più lunga coda di paglia che giustifica ampiamente la reazione scomposta degli uomini del PD.