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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Sole 24 Ore’): “Più lavoro, più formazione e più reinserimento per cambiare le carceri”

 

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Il lavoro è valore sociale, fattore di emancipazione, giustizia e benessere per tutti”. E’ da questo principio che ha preso le mosse l’accordo del 13 giugno 2023 tra CNEL e Ministero della Giustizia per “gettare un ponte tra il carcere e la società, portando il lavoro e l’istruzione al centro di un grande progetto di inclusione sociale che veda protagonisti le imprese, i sindacati, il volontariato, il sistema scolastico e universitario e gli enti locali”.

Vogliamo essere realisti e, al contempo, ambiziosi rispetto a una sfida così importante che aggrega organizzazioni, reti, società civile, soggetti pubblici e privati: la riabilitazione dei detenuti è un obiettivo di policy complesso, ma raggiungibile. E’ ormai dimostrata la relazione tra status lavorativo e probabilità di commettere reati, così come l’impatto positivo che il lavoro genera sulla riduzione dei comportamenti devianti, garantendo quel collegamento con la società al di fuori del mondo carcerario, essenziale per un effettivo reinserimento. La presenza delle imprese, ancora non adeguata nelle nostre carceri, è un elemento che contribuisce all’incontro tra domanda  e offerta, per un inserimento diretto dei detenuti nel mondo del lavoro, sia durante che a fine pena.

Sono 61.049 i detenuti che si trovano nei nostri istituti penitenziari: il 4,3% sono donne, il 31,3% sono stranieri. Il tasso di sovraffollamento è pari al 119%.

A fronte di una capienza regolamentare di 51.178 detenuti, 5.980 di loro usciranno dal carcere entro un anno. Questo ultimo segmento rappresenta uno dei target principali dei percorsi personalizzati di formazione e di inserimento lavorativo, in grado di esprimere il maggiore effetto sul tasso di recidiva.

E’ l’inizio di un circuito virtuoso.

Con il riconoscimento del lavoro e della sua giusta remunerazione possiamo puntare all’azzeramento della recidiva e, al contempo, contrastare la capacità attrattiva e i rischi corrosivi della criminalità organizzata. Il paradigma da adottare è più lavoro, più istruzione, più formazione, più reinserimento.

Il CNEL e il Ministero della Giustizia hanno lavorato in questi dieci mesi in  collaborazione con tutti i soggetti e le realtà che operano nel sistema carcerario per dare compiuta applicazione al principio costituzionale di rieducazione della pena. Da Cassa delle Ammende alla rete delle cabine di regia territoriali delle Regioni, dal Garante nazionale alla rete dei garanti territoriali e a quella dei poli universitari penitenziari della CRUI, dal Forum del Terzo Settore all’ACRI e alle altre fondazioni bancarie, da Unioncamere a Assolavoro, dall’Ente del Microcredito a Assifero, da ANCI agli ordini professionali, dalle Caritas diocesane a USMI, dalla Comunità di S. Egidio alla Fondazione S. Patrignano e  alla rete delle centinaia di comunità di recupero. Solo per citarne alcune.

Perché una così straordinaria ricchezza di iniziative che accomuna istituzioni, regioni, enti locali, garanti territoriali, terzo settore, parti sociali, fondazioni, atenei, organizzazioni religiose ha prodotto risultati parziali, discontinui, di certo non adeguati all’impegno profuso? Questo è il punto.

Il carcere e la società continuano ad essere due universi separati, incapaci di comunicare tra loro, perché diffidenti e in sordo conflitto reciproco. Le radici di questa “resilienza negativa” sono profonde: un’offerta rieducativa e formativa spesso non allineata con il mercato del lavoro e i fabbisogni dei territori, una discontinuità dei progetti realizzati, una mancata scalabilità delle esperienze di successo, una ridotta portata delle iniziative.  E poi ancora troppa opacità, eccessiva burocrazia e accountability non adeguata.

Di un detenuto su due – e di due su tre se stranieri – non conosciamo neppure il titolo di studio, mentre di un terzo o poco più della popolazione carceraria non risulta acquisita la storia professionale. Tutti elementi essenziali per la definizione di un percorso di formazione o di inserimento lavorativo in linea  con i fabbisogni del mercato del lavoro e coerente con il profilo personale del detenuto e la sua effettiva occupabilità. Conoscendo poco e male il capitale umano presente nelle nostre carceri, come meravigliarsi degli attuali scarsi esiti occupazionali?

Ma esistono anche fattori di carattere generale che incidono sulla traguardabilità del nostro obiettivo. Basti pensare all’apporto determinante del capitale umano dei servizi penitenziari, se professionalmente valorizzato e inquadrato, così come al ruolo decisivo dell’infrastruttura logistica, strumentale e digitale degli istituti. E ancora: la questione dell’efficientamento complessivo della macchina dell’esecuzione penale attraverso un dialogo costante, trasparente e qualificato tra i diversi attori istituzionali.

Temi di cui il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha piena consapevolezza, e sui quali è già al lavoro per approntare soluzioni organiche all’interno di politiche volte alla riduzione del sovraffollamento e dei rischi che ne derivano, che possono essere drasticamente abbattuti anche con misure complementari, ma altrettanto importanti, a partire dalle attività sportive a quelle culturali e artistiche.

L’intesa tra Ministero della Giustizia e CNEL risponde a queste criticità: è un vero e proprio patto di corresponsabilità offerto a tutte le realtà che decideranno di “fare rete”, amplificando così all’ennesima potenza competenze, esperienze, opportunità, risorse e dunque possibilità di successo.

Chi ha una rete ha un tesoro. Ma la rete presuppone una struttura organizzativa adeguata, in grado di gestire, in un percorso di accompagnamento e di coordinamento, la complessità della collaborazione tra i diversi soggetti: mondo del lavoro, scuola, formazione, università, corpi intermedi, carcere. Basti pensare ad attori quali la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, che potrà curare la formazione manageriale dell’intero sistema carcerario o a realtà quali le reti delle agenzie di lavoro pubbliche e private, in grado di incrociare e far coincidere le aspettative occupazionali alle reali esigenze del mercato. Ogni agenzia del lavoro, pubblica o privata, prenda in carico uno dei 189 carceri italiani e realizzi continuativamente progetti di formazione e collocamento.

Vettori delle attività saranno il “Segretariato Permanente” del CNEL e l’Amministrazione penitenziaria, chiamati entrambi, per le rispettive competenze e i rispettivi punti di forza, a dare impulso e facilitare, in stretta sinergia istituzionale oltre che progettuale, l’interconnessione tra le reti istituzionali, le parti sociali e il terzo settore attraverso “regole di ingaggio” e “azioni di sistema” programmate per superare la frammentarietà, l’autoreferenzialità e i vincoli di natura temporale, territoriale o finanziaria.

Tutti limiti che condizionano buona parte delle progettualità oggi esistenti, riducendole ad una condizione di “esemplarità” che seppur positiva, poco rileva a fronte della necessità di un approccio unitario e globale che deve essere invece rivolto alla totalità degli istituti penitenziari.

Un lavoro da svolgere in costante raccordo con la Cassa delle Ammende e con la rete delle 16 cabine di regia territoriali rese operative nell’ambito dell’accordo con le Regioni. Sono 80 i milioni di euro già impegnati dal 2022 ad oggi in progetti rivolti a 18 mila beneficiari, detenuti ed ex detenuti e sui quali il Segretariato del CNEL avvierà una valutazione d’impatto dedicata.

Le reti non mancano, manca la loro sinergia operativa.

La prima “azione di sistema” che coinvolge soggetti pubblici e privati dell’informatica è l’integrale digitalizzazione degli spazi dedicati alla formazione professionale e allo studio in carcere, presupposto necessario per lo sviluppo di programmi efficaci di accompagnamento al lavoro e all’autoimprenditorialità dei detenuti.

La geografia sociale del carcere e i ritardi accumulati rendono urgente la sfida che abbiamo assunto. È essenziale la predisposizione di un pacchetto normativo e regolamentare funzionale all’ottimizzazione dei processi organizzativi e alla governance complessiva. Abbiamo già un testo implementabile. Dalla progressiva e piena equiparazione del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria agli standard ordinari dei CCNL di riferimento, alla messa in rete delle commissioni regionali e penitenziarie per il lavoro, al collocamento mirato dei neomaggiorenni in uscita dagli istituti penali minorili; dalla diffusione dei servizi dei patronati alla estensione dei benefici della “Legge Smuraglia”, prevedendone il prolungamento e una diversa intensità. Una norma che nel solo 2024 ha coinvolto 537 imprese e cooperative con agevolazioni fiscali pari a 10,6 milioni di euro, ma che ancora oggi presenta elevati divari e concentrazioni territoriali in termini di accesso ai benefici.

Lavoreremo a forme di responsabilizzazione e compartecipazione dei detenuti nei confronti delle vittime e ad una rivisitazione dei regolamenti improntata a criteri di semplificazione, accessibilità e  premialità.

Ma l’aspetto maggiormente qualificante è il tentativo, assolutamente innovativo, di  radicare e diffondere una “cultura imprenditoriale”.  E’ un cambio di paradigma rispetto al quale CNEL e Ministero della Giustizia mettono alla prova il “sistema carcere” e il tessuto imprenditoriale e civile del nostro Paese. Mettiamo “in carcere” imprese, società civile, istituzioni: solo così potremo vincere tutti, insieme.

Un’operazione vantaggiosa per tutte le parti in causa: per i detenuti, a cui sarebbe offerto un percorso autentico di risocializzazione; per la società e l’economia, che vedrebbero trasformata la spesa del sistema penitenziario in investimenti produttivi; e per le vittime dei reati, a cui sarebbe restituita anzitutto la speranza che il male da loro sofferto non si ripeta, e nel cui fondo dedicato sarebbe convogliata una quota della ricchezza prodotta: win-win-win.